Dedicato ad una nipote rompi scatole, Barbara, che su richiesta mi ha fatto inserire questo tema. Scriverò delle mie radici, dai miei primi ricordi, agli avvenimenti di famiglia, censurando qua e la in occasione di aneddoti particolari riguardanti persone ancora vive. “Briciole di famiglia” in ricordo delle bricioline di pane che gettavo nel box ad una bambina dagli occhi color del bosco, che se le mangiava, come fosse un uccellino.
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S.Martino 22 marzo 1956, praticamente l'altro giorno.
Sotto l'argine "della Parma", all'alba dello sviluppo industriale, ricordi e profumi di guerra, di miseria, di galline, di mucche, di muschio, di cibo sudato, anche se i nonni erano abituati ad essere riveriti ed ossequiati dai braccianti agricoli, il cappone più bello, per Natale era sempre il loro.
Mainen da da mangiare ai polli-nonno Guido con cavallo e puledro-Renzo e Cornelio mentre i braccianti arano con i buoi- casa padronale con nonno, calessino e forse la mamma sulla porta.
I nonni paterni: se ne respirava ancora la presenza, ma ormai non c'erano più.
Nonno Guido e nonna I nonni con Cornelio, Adelaide e Renzo.
I nonni materni: di Pizzolese, a pochi chilometri da li; lui è stato un fiero soldato della prima guerra mondiale, un autiere, donnaiolo, agricoltore, musicista, scrittore e inventore, è comparso a casa nostra, solo alcune volte in bicicletta all'età di circa 80 anni, secco ed agile. Lei, un angelo in paradiso, sempre pronta a vegliare su di noi, morta di parto all'età di 22 anni, il 7/7/1920 quando mia madre aveva solo 17 giorni di vita. (nota 7-17), Teresa Villani, figlia dei braccianti , faceva la sartina, era bella, alta, per quei tempi e cantava da solista al Santuario di Fontanellato, dicono avesse una voce bellissima come quella della grande "Mina". E’ vissuta nelle nostre memorie tramite i racconti di chi l'ha conosciuta, o di chi ha conosciuto chi l'ha conosciuta, oggi non ci sono più. Ho visto le sue spoglie pochi anni fa, dentro ad una cassa di legno fatta di assi grezze e tarlate, quando è stata riesumata per essere finalmente unita a sua figlia, la mamma. Belli, brutti, grassi, magri, siamo veramente un niente in questo nostro sogno.
Prima pagina manoscritto Santuario Fontanellato Nonna Teresa Villani
T esto discorso funebre originale
A TeresaVillani Sirocchi
…… Cosa bella e mortale passa e non dura ……Dice il Poeta, e noi consci della verità di queste parole le ripetiamo, sentendoci infinitamente e dolorosamente compresi da un grande sconforto. Tu, bella e mortale, sei passata fra noi come una rapida parvenza, lasciandoci il ricordo della Tua gioventù e della Tua felicità, mentre l’eco della Tua voce argentina quasi ancora si ripercuote in tutti noi con suono mesto e lieve. Chi fra noi, che siamo venuti in composto e severo corteo a portarti l’ultimo saluto di affetto, non Ti rivede esuberante di vita e di giovinezza allegra e spensierata, sempre bella e cara , adorna di quelle doti morali e fisiche di cui l’Artefice Divino volle arricchirti, e non si sente perciò preso il cuore come da una morsa al pensiero che ora, immota e rigida nella fredda compostezza della morte, Tu ascolti le mie povere parole? Oh, no! non così breve doveva essere la Tua Esistenza, e non così repentinamente doveva essere spezzata proprio quando Tu speravi di godere di quella santa e meritata felicità nella Tua famigliola, al sorriso del Tuo piccolo Angioletto, nell’affetto forte e serio di colui che Ti sperava sua compagna cara in una vita lunga ed operosa. Invece neppure brevemente hai potuto godere di quelle pure gioie della maternità, che tanto Ti fece soffrire e che Ti costò la vita, perché l’ala rigida ed inesorabile della tetra morte ha voluto portare la desolazione ed il lutto dove invece pareva che si preparasse una vita di sublime gaudio, di luminosa felicità . Crudele e severo fu il tuo destino e quando proprio tu sognavi quell’ avvenire roseo e lieto, cullandoti nella dolce speranza di veder crescere rigoglioso quel piccolo fiore, nato da te, appena sbocciato alla vita, e già orbato dell’affetto più possente e duraturo, quello Tuo di Mamma, ecco che un inguaribile male ha stroncato Te pure, fiore di giovinezza, di grazia e di forza, dal Tuo ancor tenero stelo. La tua piccola Vittorina, inconscia della grave perdita che in oggi ella ha, dovrà abituarsi a dare il dolce nome di Mamma ad altra buona e cara persona, ma non vi sarai tu, Mamma sua, a gioire delle sue grazie, del suo giovane affetto, a sorreggerla ne’ primi passi, a trepidare per i suoi piccoli dolori, a bearti nelle sue care e sincere tenerezze, a ricambiare quelle lievi carezze che formano l’orgoglio di ogni Mamma felice. Ed ella pure, povera e cara piccina, che alla sua volta avrebbe potuto essere così fiera dell’ affetto della sua Mamma bella e giovane, dovrà conoscerti nel ricordo affettuoso e caro del babbo suo, che ora si avvinghia a quella fragile creatura, suo unico e grande conforto per compendiare su di essa tutto il suo affetto infinitamente buono e grande , amaramente piangendo la Tua irreparabile perdita .......................................................… ................. ……………………………………………………………… la Tua piccola creatura, su cui tanti sogni vagheggiasti, nascendo alla vita , doveva irradiarti l’ animo di un sorriso più fulgido . E bella era la Tua vita e santo pareva il Tuo avvenire , quando gl’ imperscrutabili voleri di Dio, hanno voluto che il Tuo sposo inconsolabile, i tuoi vecchi genitori venissero straziati.........................................……………… …………………………………… … di quei fiori che Tu amavi tanto e di cui Tu ti ornavi di tanta grazia, bagnati dalle nostre lacrime. Ma siano essi la manifestazione più bella ed eloquente del nostro sentito dolore e credi, o Anima cara, che mentre io te li porgo con pietosa e trepida mano, l’animo mi si spezza. Oh, Teresa! Tu vivrai ancora tra noi col Tuo Spirito reso santo dalle sofferenze crudeli che ti straziarono, Tu che moristi piamente, aleggerai ancora fra le pareti della Tua casetta per il conforto de’ tuoi cari, per stendere le Ali protettrici sulla Tua piccina , per sorreggerla nel difficile cammino della vita travagliata sempre. Siile di guida sicura e di caro conforto, siile amorosa e pietosa sempre e noi Ti ricorderemo a Lei, Ti faremo amare ed apprezzare, e nel suo piccolo cuore di bimba faremo crescere orgoglioso il fiore di un affetto incancellabile.
Pizzolese 7 luglio 1920
La mamma Vittorina (i suoi fratelli: Vincenzino, Giannino, Santina, il che è tutto dire ..., tutti ino/ina) venne chiamata da subito Teresina, poi, da grande, Teresa. Il papà Cornelio, uno dei pochi che a quei tempi, in campagna, aveva fatto la "TERZA MEDIA" in collegio dai "preti", dove, dice la mamma, avrebbe imparato anche a suonare il clarinetto, ma del clarinetto mai se n'è sentita nota. Avrebbe potuto lavorare in banca, ma per lui proprietario terriero, lavorare alle dipendenze di altri, sarebbe stato un disonore, quindi ha finito per "curare le bestie e i campi" per conto suo, era povero ma un fiero coltivatore diretto.
La mamma a 20 anni ... quanto era bella! sembrava Ingrid Bergman
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Durante la seconda guerra mondiale, ha fatto il militare a Napoli, ma è anche riuscito a congedarsi in fretta, probabilmente perchè aveva la sclerosi multipla, era iniziata da giovane era poco più che adolescente. Suo fratello Renzo, più giovane, non so come abbia fatto a schivare cla guerra, ma anche lui non l'ha fatta. Quando si hanno i soldi tutto è più facile e soprattutto allora la regola non faceva eccezione, i nonni erano ricchi e probabilmente conoscevano qualcuno potente. A quei tempi, già conosceva la mamma e nei suoi ricordi, lei mi raccontava dei periodi di crisi della malattia, della incontinenza, della mancanza di forza, dei formicolii, della diplopia; ogni dieci anni aveva una crisi, poi miracolosamente si riprendeva. A quell’età o quasi, mio padre aveva già pochi capelli, a 14 anni lei, a 17 lui, erano già fidanzatini. "Sai, era così fine e dolce, io avevo tanti corteggiatori, ma non l’avrei mai cambiato", mi diceva sempre la mamma ostetrica, si, la mamma era diventata ostetrica, dopo aver studiato da segretaria d'azienda al Giordani, vicino la Cittadella.
Entrata Cittadella
Antico camino Polenta Saracca
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Mia madre, da bambina, faceva colazione con il vino rosso, "il latte andava venduto" e per questo non ha mai più potuto sopportare non solo il vino rosso, ma tutti i cibi di questo colore, una vera e propria mania, come diceva lei. Il nonno, per risparmiare il vino, metteva poche gocce d'aceto dentro l'acqua e lo beveva, "certo era più saporito della sola acqua". L'ostetrica l’ha fatta per poco tempo, e ha fatto in tempo a far nascere 2/3 preti, tra cui il mio attuale, Don Francesco e quello che ha battezzato il mio primo figlio, Luca, nella chiesa di via Milano. Ah, ha fatto nascere anche la Deanna ed Brandolèn, dove ha coppiato il nome della Deanna, o viceversa, forse Deanna invece l'ha dato prima lei copiandolo da una lapide al cimitero. Allora, si partoriva in casa, quando c'era la chiamata doveva andare, i bambini non aspettavano; a piedi, in bici, o in calesse quando partorivano i più ricchi che la andavano a prendere. A volte stava via da casa per giorni, o certamente decine di ore. Poi ha cominciato a fare figli suoi, uno dietro l’altro, io sono il sesto ed è stata costretta a smettere questo lavoro. La Deanna, mia sorella, la secondogenita, l’ha fatta nascere mio padre a casa, seguendo le istruzioni della mamma partoriente, "I bambini, tanto, nascono da soli " mi diceva sempre. In casa, nella saletta, da bambino, ero abituato a vedere nel cassetto del mobile, i suoi attrezzi da lavoro: forbici, garze, forcipe, pinze auto bloccanti per il cordone ombelicale, siringhe in vetro, bollitore...
Pinza bloccante Forbici Siringa con sterilizzatore Garza
Rita, è stata la primogenita in tutti i sensi, sia come figlia che come nipote dei nonni, nata il 7 agosto 1942 (nota il numero 7). Prima era bella, vispa e soprattutto sana come tutti gli altri, ma lo fu per poco tempo. Allora, le mucche venivano portate a bere, dalla stalla, sotto al portico, nell' "erbi ", non c'era ancora l'acqua corrente, specie nella stalla le "pilette" non esistevano ancora. L'acqua veniva pompata a mano, dal pozzo a camicia fino all'erbi, tramite il "sambòt". Come gli animali da cortile, anche i bambini venivano lasciati liberi e incustoditi nell'aia ... oimè, a soli 2 anni, si dice che Rita abbia tirato la coda ad una mucca che si stava abbeverando ... un calcio l'ha colpita alla testa, facendola cadere e sbattere a terra, ... il suo sviluppo mentale si è fermato lì... Dimenticavo, solo dopo la morte della mamma ho scoperto che si era sposata incinta, aspettava la Rita, lo ha scoperto la deanna confrontando il certificato di matrimonio e il compleanno della Rita.
Erbi Sambòt
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Da lì, sono iniziate le convulsioni, le cadute continue, le crisi epilettiche, la bava alla bocca, povera Rita e soprattutto, povera mamma. Tara o incidente? Questo è un interrogativo che mamma si è portata dentro da sempre, neanche gli psichiatri che l'hanno avuta in cura, non hanno mai saputo darle una risposta, o più semplicemente non gliene poteva fregar di meno. Uno specialista a quei tempi, era "al profesoor", ti guardava dall'alto della sua scienza considerandoti un nulla e tu lo riverivi e lo ossequiavi. A 82 anni, quando la mamma ci ha lasciato, ancora piangeva per Rita e i suoi rimorsi. Solo lei sapeva...! Poi, Deanna, Guido, Claudio, Paolo, il tempo passava in fretta senza neanche rendersene conto. La zia Adelaide, Delaidina, aveva già avuto 4 figli; la zia Bice, Bì, un pò strana, non aveva trovato l'anima gemella, il DOTTORE, lo zio Renzo, aveva sposato una maestrina di Torrile, la zia Maria, erano dispiaciuti perchè non riuscivano ad avere figli, probabilmente, provavano un po’ d'invidia, nei confronti della mamma: "Teresa cinque ed io nessuno"... , finchè un giorno, "Teresa, Teresa, finalmente ci siamo, aspettiamo un figlio!!! " Scoppiava di gioia e timori, mia madre già temeva, aveva un ritardo e le veniva da piangere ... sapeva di essere incinta ancora una volta, "e pensare che le altre donne vengono da me a chiedere come fare a non aver figli...". "Maria, aspetto il sesto!"
I polli, le scrofe, l'orto, la Rita, Guido e Claudio, che litigavano come cane e gatto, questa non ci voleva.
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Confabulavano : " si vede che non lo vuole, è il sesto ...! "
Il peso, l'ho recuperato in fretta, con grande orgoglio materno, succhiavo sempre affamato, Paolo, appena 5 anni era un pò geloso. Giovanni, veniva nutrito con latte in polvere, faticava a crescere, mi diceva mamma che forse per sbaglio, avessero usato dei campioni di latte scaduto. Buona parte dei ricordi, mi sono stati raccontati, dalla zia Bì quando ci veniva a trovare e andavamo a passeggiare sull'argine, o da mia madre. I miei veri primi ricordi di vita, risalgono prima dei miei tre anni, il 1959 ha scandito il tempo mettendo un paletto fisso nella mia vita, siamo andati ad abitare a S.Andrea e questi ricordi riguardano invece persone, posti cose e luoghi di S.Martino. Ricordo il mio girello in legno, il mio box, un recinto fatto con tondini di legno, era senza fondo, io mi attaccavo restando in piedi, ancora non camminavo. Ricordo Maria Prati, una ragazzina dai capelli ricci, forse rossi, credo figlia dei nostri vaccari, che asseime a Deanna, mi portavano in giro spingendo la bicicletta, mettevano un bastone sulla canna di una bici da donna dove io appoggiavo i piedi tenendomi attaccato poi con le mani al manubrio. Ricordo "la Borda", un mostro forse inventato da mia madre per farci star lontani dall'argine della Parma e non farci annegare, ricordo uno stanzone, a pian terreno, dove mia madre, mi metteva a dormire nei pomeriggi caldi d'estate, dicendomi che sarebbe rimasta lì, con me, una ninna nanna veloce e poi, appena addormentato, se ne andava a fare i suoi lavori.
Girello simile al mio
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Ricordo questa prima sensazione d’inganno al risveglio, me la porto ancora dentro dopo più di cinquant’anni di vita, come ancche quando chiedevo di andare con loro insistentemente e loro... " si, basta taci ..." per farmi tacere e poi non mi prendevano su. Ricordo, una volta, tutti preoccupati e urlanti, perchè stavo andando per strada, a piedi a casa di mio cugino Giovanni, in fin dei conti, abitava solo a 100 metri ed io avevo già quasi 2 anni. Altro ricordo, non so se si trattasse di una festa o meno, forse la Prima Comunione di Paolo, la chiesa di la dal Parma, tanta gente seduta sul retro della casa all’ombra, si chiacchierava e si mangiava, c’era anche una pianta di noci, io ho inghiottito una caramella, forse un confetto, che mi è andato giù di traverso, pensavo di soffocare, ma mi è andata bene. Non ricordo come, un altro giorno, devo essermi schiacciato un dito, l'unghia di una mano, era diventata tutta nera e mi faceva male, mia madre e la zia Bi' mi hanno fatto addormentare tenendomi in braccio, mi sono addormentato e al risveglio l'unghia non c'era più, mi hanno raccontato che un angioletto me l'aveva tolta, ma non l'ho mandata giù tanto bene, ancora oggi ho dei forti dubbi. Come in tutte le case di campagna, oltre al piano terreno, c'era il piano "ed sora" con le camere da letto e ancora sopra, il solaio, per evitare che andassi in pericolo, mia madre mi diceva "vai, vai pure, lassù c'è una strega" ... ed io timoroso non andavo, anzi, da bambino ho sempre avuto molta paura a stare solo, specie la notte, chissà chi c'era dentro l'armadio.... Altro ricordo, bello, sono i miei fratelli che raccoglievano l'acqua piovana nell'aia. Un giorno che stava diluviando, hanno appoggiato una bottiglia con dentro un imbuto, sopra ad uno dei piloncini in cemento dell'aia per farla riempire, eravamo riparati dietro ad una porticina in legno, che bel gioco!
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"Culon, culon, culon, mi viene il vomito”, sono state parole che ho pronunciato alla mia prima gita, io dico al Lago Maggiore, Paolo dice al Lago di Garda, quando ho visto le prime donne in costume da bagno, me lo hanno rinfacciato prendendomi in giro per anni. Ricordo solo la gita, il lago e una ringhiera di legno incrociata, Paolo dice che siamo andati con il “Guzzino” in quattro, io lui, mamma e papà, non so come avremmo potuto… Mio padre, per andare in moto, usava come casco, un copricapo in pelle nera e gli occhiali, che ho continuato a vedere anche quando non li usava più, in solaio a S.Andrea, dove c'era anche una cassa in legno con dentro una bombola d'ossigeno, bianca con una croce rossa, avanzo di guerra.
donna in costume anni 60 guzzino
Sicuramente io non ero ancora nato ma in famiglia se ne ricordavano ancora tutti ridendo, Deanna aveva lanciato una sua scopina dietro ad una siepe, sapendo che in quella siepe c'erano dei nidi di api, ha chiesto a Guido, di andargliela a prendere, Guido, per far contenta la sorellina, è andato e si è preso le punture delle api. Un'altra, sempre di Deanna, a scuola, la maestra chiese ai bambini se qualcuno in casa avesse gli orecchioni (parotite), Deanna disse: "si, Signora Mastra, mio fratello Guido" , solo per il fatto che aveva le orecchie grandi e a sventola. Per far capire meglio le mie radici, parlerò ancora un po’ delle famiglie d'origine. Il nonno Paride, subito dopo essere diventato vedovo, è andato a trovare sua sorella che era ammalata in ospedale ed è lì che ha conosciuto la nonna Nella, la "matrigna", che faceva l'infermiera. Nonostante Nella fosse diventata da subito moglie del nonno, la mamma è stata allevata dalla nonna materna, la Valenta, e non ha mai provare affetto per Nella. Ha riscoperto con lei un buon rapporto solo negli ultimi anni della sua vita.
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Nella, non deve aver passato una gran bella esistenza con mio nonno che si era fatto l’amante fissa in casa, una domestica convivente " l’Emma ed Gat". Viveva indisturbato nel suo harem, tutti ne erano a conoscenza, e se l'è tenuta sino a quando è stata "buona", poi, da vecchia, l'ha mandata al ricovero. L'abbondanza e la generosità non era di casa, mia madre, per non consumare le scarpe andava a scuola a piedi scalzi, per infilarsele una volta arrivata, si racconta anche che quando la zia Rosetta, moglie di Gianni era incinta della Stefania, avesse bisogno di mangiare carne perchè anemica, allora il nonno, quando ammazzava le galline le regalava le zampe e la testa. Ah, dimenticavo Vincenzo, Gianni e Santina. Vincenzo, tipo originale, impiegato i.n.p.s., chiunque avesse bisogno di pratiche, si rivolgeva a lui direttamente che si prestava in modo disinteressato, forse qualche pollo, qualche kg. di burro... Uomo per noi dalle parole difficili, snob per natura o per forza, noi si dava importanza alle macchine grosse e ai vestiti costosi, lui si vantava della topolino e di far spesa in ghiaia spendendo poco, era marito di Mina, zia magra e lunga, con una inseparabile pompetta di plastica e vetro, che usava perché soffriva di asma allergica. Questi zii hanno avuto due figli, Paride, come il nonno e Alberto, Paride, il più grande, lo ricordo per gli occhiali spessi e per essere scappato da casa. Per molto tempo hanno viaggiato con una vecchia Fiat 1.100, poi con la Topolino, quando di Topolino non ce n’erano ormai più in uso e neanche nessuno la voleva. Mina guidava e Vincenzino si faceva trasportare, perchè ci vedeva poco, aveva anche lui occhiali con due lenti che parevano fondi di bottiglia. Vincenzo, era molto legato a mia madre, e quando ci veniva a trovare in campagna, a S.Andrea, praticamente ogni settimana o quasi, regalava furtivamente a me e a Paolo, rispettivamente 50 e 100 lire, che per noi erano tanti.
Fiat 1100 Fiat Topolino 100 lire 50 lire
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Gianni, una bella famiglia, si vedeva che si volevano bene. Lui era un bell'uomo, con tanti capelli ondulati e una vove roca, capo officina e custode della Cromital, che faceva cromature e rettifiche. Per farci un piacere, aveva fatto assumere Claudio da apprendista, non l'avesse mai fatto! Claudio è diventato un sobillatore, il sindacalista della ditta, assieme a Sianna, sino ad arrivare a far chiudere il reparto di rettifica, dove lavorava, per poi licenziarsi e andare a fare l'infermiere. Ricordo una domenica, che Gianni e famiglia, ci erano venuti a trovare a S.Andrea, gianni aveva un fucile da caccia, passeggiavano nel cortile, sentivo che gli adulti scherzando e sussurrando, si confidavano, del fatto che sarebbe nato Luca, il loro ultimo genito, il più giovane in assoluto di tutti noi cugini. I loro figli, fino ad allora, Stefania, Roberto e Giannina. Roberto, stava per Roma - Berlino - Tokio, (Ro-Ber-To) per una questione di tendenze politiche, giravano voci che in famiglia fossero simpatizzanti per il fascio e il Duce, Mussolini, d'altronde, anche dalla parte di mio padre, durante il referendum del 1946 per scegliere Monarchia o Repubblica, penso abbiano tutti votato Monarchia. Santina, era una ragazza sensibile, suonava il piano nell'orchestra "Santina", complessino fondato dal nonno dove lui suonava la tromba nelle feste di paese e nelle balere. Santina ha sposato Mario, un operaio soffiatore di Bormioli, mi raccontava mamma che per la differenza di sensibilità tra i due, la zia "Santa" si sarebbe ammalata di esaurimento nervoso ed è stata per questo, ricoverata all'ospedale psichiatrico di Colorno, dove era poi stata trasferita anche Rita. Spesso la domenica mattina, mia madre le andava a trovare ed io con lei.
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Era il periodo delle contestazioni, dei sessantottini, pre Basaglia o poco prima e la Rita veniva legata anche lì a Colorno. La mamma aveva comunque preso forza e coscienza, quando la trovava legata, le tagliava le fasce che la tenevano costretta al letto. Ricordo tutta sta gente sedata o che girava avanti e indietro, ti studiavano con aria sospetta e chiedevano soldi e sigarette, urlavano senza apparente motivo, ti veniva da guardarti alle stalle...
Poi Suor Angela assieme a Chiara. Chiara era una matta sicuramente più sana di tanti altri fuori, se la sono presa a cuore, “la loro bambina” e la sua vita è notevolmente migliorata. Suor Angela, toscana, si era presa a cuore tutta la nostra famiglia, gestiva il reparto di sartoria del manicomio dove lavoravano le matte e ci faceva rommendare le calze quando erano lise, ricostruivano il tessuto, diventava come fosse nuovo. Certe domeniche portavamo a pranzo da noi Suor angela e Rita, di Chiara non sapevamo ancora l'esistenza, ricordo che le pulivano in continuo la bava alla bocca, si muoveva in modo scoordinato, mi faceva un pò impresione. In questi momenti lei era finalmente un pò più felice, la interrogavano sul verso degli animali e sul nome dei fratelli, di chi fosse la mamma e lei rispondeva a tono, tutto quì. Una domenica mattina, lo zio Mario, mentre tornava in motorino dall'ospedale, dove spesso andava a trovare la zia, è stato investito da un auto, proprio mentre attraversava la strada maestra, per andare a Pizzolese, a 100 metri da casa, dove abitava con il nonno. Lo zio è morto, lasciando due figli adolescenti, Giorgio e Franco, che poi sono stati cresciuti dai nonni. Giorgio, sempre considerato un po’ nervosetto e Franco, scialacquatore. A 21 anni, quando Franco è diventato maggiorenne, è entrato in possesso di una discreta somma di denaro, soldi provenienti dall'assicurazione per la morte del padre, dicevano che se li fosse poi mangiati tutti in poco tempo in automobili sportive e night.
forse questa
In seguito hanno entrambi fatto, come tutti noi, la propria onesta vita, facendosi aprezzare per le loro non poche qualità, ma portandosi sempre dietro quell'alone di simpatica originalità che si respira alla loro presenza. Santina è poi praticamente guarita ed è uscita dall'ospedale psichiatrico, vivendo sola ormai da tanti anni come ogni altra persona anziana. Quando ero bambino, ricordo di lei, del fatto che avrebbe voluto vivere in una casa piccola, piccola, per evitare che una stella cadente, le potesse cadere addosso, ricordo anche di un giorno che vincendo la sua timidezza ci ha suonato un pezzo con il pianoforte, è stata bravissima e molto commovente.
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Dei nonni paterni, ho sentito parlare solo di soldi e onestà. Il nonno e la nonna si erano sposati tra fratelli e sorelle, la sorella del nonno aveva sposato un fratello della nonna, un Bilzi. I Bilzi di Mezzano Rondani, in famiglia, non avevano una gran stima, si diceva fossero "persone grame”, per soldi, si sono fatti causa tra fratelli e rovinati a vicenda. Del nonno Guido, invece se ne decantava la generosità e l' onestà, insomma, una gran brava persona. Erano ricchi proprietari terrieri, con i braccianti che lavoravano per loro. Con i loro risparmi avrebbero voluto comprare un altro podere, quello di S.Andrea. Avevano i soldi, ma prima di pagarlo, suo cognato Bilzi, proprietario di un caseificio a Mezzani, gli ha chiesto un prestito. "Guido, par pieser, im sarvisen par poc temp, a tia dag in dre subita, hio vendù al formai e gho da ciaper i sold, fam un preestit." Il nonno, senza farsi troppi problemi e senza carte scritte, gli ha fatto quel prestito, si trattava di tanti soldi, quei soldi che non ha mai più rivisto.
formai (parmigiano reggiano)
corte simile, ma mancante della casa padronale, di S.Andrea, con stalla, porcilaie e caseificio
Il podere lo ha comprato ugualmente, dando fondo ai risparmi e facendo altri sacrifici. Della casa di S.Martino, mi hanno raccontato che non c'era ancora l'energia elettrica, l'illuminazione avveniva tramite lanterne a petrolio, tanto poi si andava a letto presto “co’l' galen'ni”. Il nonno Guido, usava un calessino tirato dai cavalli, i poveri andavano a piedi o i più fortunati in bicicletta. A me la guerra sembrava molto lontana, ma era finita da solo una decina d'anni. Zia Bì mi parlava di Pippo, che era un fantomatico pilota d'aereo da caccia, si sentiva arrivare in lontananza la sera al buio, suonavano sirene e campane per dare l'allarme, bisognava spegnere subito tutte le lanterne per non essere colpiti, dove vedeva una luce, bombardava.
Calesse e nonno Guido Lampada a petrolio Come Pippo
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Il ponte sulla Parma, ora di ferro, che c'è ancora a S.Martino, di fianco la nostra casa, è stato costruito dai Tedeschi in fuga nel 1945. Il cortile era gremito di soldati armati, di feriti e di cavalli scalpitanti, cercavano cibo e nemici, erano spaventati, pericolosi e in fuga dagli americani e dai partigiani che si erano ringalluzziti. Il frumento era stato nascosto in una stanza nel solaio, dietro ad una porta coperta da assi, per fortuna non l'hanno trovato, chissà cosa sarebbe successo! Guido era nato da alcuni giorni e allora la mamma, spaventata, ha preso lui in braccio e gli altri suoi cuccioli per mano e attraversando i campi, si è recata nella casa la dietro, a poco più di 100 metri, dove l'abitavano i "famì da spesa" degli Alberici, Alberici, di cui ricordo perfettamente le facce dei genitori, di Tonino, della Liliana e di Milietto, che era poco più giovane di me. Mentre attraversava i campi, in mezzo ad una piantagione di granturco, un soldato tedesco, li ha visti, ha avuto pietà e l'ha lasciata passare. La situazione li, sembrava più tranquilla e come fosse un rifugio aereo, si sono chiusi tutti nella cantina semi interrata. Dalla cantina, si sentivano all'esterno colpi d'armi, avevano tutti paura, quando ad un tratto un proiettile vagante, è entrato da un finestrino ed ha ferito una donna che teneva in braccio la Deanna, brutta esperienza quella, ma non era mia... Alla fine della guerra, c'erano ovunque bombe e proiettili, esplosi e non, per evitare pericoli, sono stati seppelliti dietro la concimaia, dovrebbero essere ancora là.
soldati piantagione di granturco
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I partigiani, che fino ad allora, nascosti, avevano saccheggiato e rubato qua e la per sbarcare il lunario, cominciavano a vedersi in giro con arroganza. La bicicletta nuova dello zio, mi raccontava mia madre, l'ha rubata uno di loro e anche quella del Dott. De Lama è stata rubata, si, quelli che abitavano "al convent ", erano poveri, non avevano niente e con la scusa di fare i partigiani, rubavano impuniti. "Lo sapevamo, li conoscevamo, ma era pericoloso per noi esporci dopo la guerra, tutti quei delinquenti erano considerati eroi " ........
bici d'epoca
Lo zio Mino, marito della Delaidina, lo ricordo come uomo dai pochi sorrisi, era un po’più vecchio degli altri, la pelle chiara e sottile, la faccia rossa con delle venuzze che trasparivano i capelli bianchi. Mino, era proprietario di una ditta che produceva "spuma", ogni tanto ce ne portava un po’: tamarindo, chinotto, arancia .... per noi era una festa, mio padre, comprava da lui sacchi di zucchero da mezzo quintale, per risparmiare, ricordo che lo tenevamo "di sopra" di fianco alla porta del solaio. Il solaio era impraticabile, regno inespugnabile dei topi. La Lilla, era una bravissima cacciatrice, veloce come un fulmine, nei primi periodi, ne ammazzava a secchiate, un morso a uno e poi via un altro e così di seguito ... Una domenica, penso l'unica volta che siamo andati a pranzo da questi zii che abitavano in un piccolo appartamento in città, a Parma, dove dietro passa la ferrovia, dalle loro finestre, ho visto passare un treno, un treno a vapore, quelli che andavano bruciando il carbone. Quella domenica, io devo aver fatto il monello, lo zio mi ha ripreso, non so come, forse con un solo sguardo, ma ricordo che per anni mi sono sentito intimorito alla sua presenza.
non Paoletti, ma quasi treno a vapore
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Il pomeriggio è stato divertente, oltre le cugine, Mariella, Carla e Paola, era venuta una loro amica, bellissima, dai capelli castano chiaro, una di quelle " simpatie particolari che provavo da bambino ". Ero al centro della loro attenzione e la cosa mi faceva piacere. Gli zii, avevano anche un altro figlio, un altro Guido, come il nonno e mio fratello. Quella domenica Guido non c’era, o quasi, forse si è visto di scappata. Quell'appartamento era piccolo per una grossa famiglia, lui dormiva in solaio, cosa che per noi era incomprensibile, i nostri spazi erano diversi, immensi. "Potrebbe fare tanto, è intelligente ma non si impegna! ", questa era la frase preferita che la maestra Margherita di Claudio diceva sempre a mia madre. Guido avrà avuto 13 anni e Claudio 11, "non se ne poteva più" si picchiavano e litigavano in continuazione, allora, come era d'uso a quei tempi, i miei genitori hanno mandato Claudio, che era più piccolo in collegio, a studiare in seminario a Parma, non per farlo diventare prete, ma per far si che potesse studiare senza spendere soldi. Ricordo ancora il collare in plastica della sua divisa nera da seminarista. Subito dopo, in famiglia, devono aver fatto la divisione dei beni dell' eredità, dopo la morte della nonna Mainen, che io non ho mai conosciuto. Il papà più remissivo e bisognoso, pur essendo l'unico agricoltore, ha dovuto accettato di trasferirsi lui a S.Andrea. Probabilmente è stato invogliato e liquidato da un po’ di soldi, di cui aveva bisogno, il 50% del podere di S.Andrea era suo, l'altro 50% alla zia Bì che glielo ha affittato, ricavandone una misera rendita, sufficiente per viverci senza lavorare per il resto della vita. Allo zio Renzo e alla zia Delaide è "toccato" il podere di S.Martino, se lo sono diviso. Lo zio aveva già costruito, la sua villetta nei terreni di famiglia e questo gli dava, probabilmente una sorta di diritto di prelazione, la zia Delaide non voleva essere da meno.
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Mi raccontano che la zia Maria abbia convinto Deanna, da bambina, ad andare un'estate in colonia a Miramare di Rimini, per far si che imparasse meglio l'italiano e smettesse di parlare il dialetto, che allora era molto usato in campagna. Al ritorno, le chiese : "ti è piaciuto? " Deanna ha risposto: "brisa", che in dialetto parmigiano significa "per niente", ma il buffo è che Deanna pensava d'aver risposto in italiano corretto. In seguito, a 17 anni è andata lei a fare l'assistente in colonia, alla "Colonia Sirocchi", che si trovava a Capriglio, una frazione di Tizzano sulle colline di Parma, vicino al monte Caio, la colonia era di proprietà di un nostro parente alla lunga, un certo Sirocchi, parente anche di Baldini, il padre della Renata, moglie di Arnaldo Magnani, cugino di secondo o terzo grado di mio padre e comunque amico e vicino di casa. Paolo era andato in quella colonia l'anno prima, era l'unico modo per toglierci dalle scatole quando le scuole erano chiuse. Un pomeriggio d'estate, ricordo, che mio padre, Balden ed io, siamo andati a trovare la Deanna alla colonia Sirocchi, era molto bella con quel grembiule bianco, assomigliava a sua figlia Manuela, alla stessa età. Penso in quell’occasione d’aver visto le prime piante di castagne commestibili nella mia vita, conoscevo solo l'ippocastano, quelle due piante ai lati della Madonnina.
Colonia Sirocchi Capriglio
Non riesco a credere che avesse solo 14 anni o anche meno, Guido, a S.Martino, quando usciva da una porcilaia, dopo aver assistito una scrofa a partorire. I maialini nascevano uno dopo l'altro, erano piccoli e uno lo ricordo di colore nero. Guido indossava stivali di gomma verdi e un geans blu, con la pettorina, una cosa molto da americani. La porta della porcilaia era bassa, di legno con un catenaccio in ferro, per uscire senza inzuccarsi doveva chinarsi. Il 12 novembre 1959, (un tempo in campagna si traslocava solo quel giorno dell'anno) abbiamo fatto "San Martino" (trasloco). I grandi hanno riempito un carro con le poche cose possedute dalla mia famiglia che trainato dal Sametto, percorrendo le strade basse, di Frara, S.Siro e S.Andrea, siamo arrivati alla nuova casa, nella Pavesa.
Scrofa Sametto
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Io sul carro in una cassetta, la Lilla ci seguiva correndo dietro al carro. La Lilla era la mia cagnetta bastardina, tutti i cani erano bastardini a quei tempi e si nutrivano con gli avanzi che si gettavano sotto al tavolo e quel che trovavano in giro. Una volta arrivati, la prima persona che ricordo è la Mariangela, Mariangela Reverberi. Mi ha subito preso per mano e accompagnato sotto al portico e nella stalla, spiegandomi e facendomi vedere tutte le cose. Mariangela, aveva la mia età, abitava nella casa attaccata alla mia, quella dei vaccari e dei casari, si, li avevamo anche un caseificio che davamo in affitto alla “ societè dal lat “. Io avrei abitato la casa "padronale", un antico convento dei primi dell'800, un pò ristrutturato, ma ancora pieno di leggende e affreschi. Parte dei lavori di ristrutturazione erano già stati fatti per poterci abitare, altri sono stati fatti dopo il nostro arrivo. Zerbini, un uomo simpatico tutto fare, era il muratore, che ha fatto il bagno interno al piano superiore, con acqua corrente e calda, scaldata al bisogno, da uno scaldabagno a legna. Ha sistemato l'impianto elettrico, "quello con i fili telati, gli interruttori in bachelite e i fusibili che ogni tanto saltavano, ha pitturato a rullo l'ingresso, il soffitto in rosso con le stelline argentate, ha messo la fossa settica. Avevano fatto un un contro soffitto in cucina e una parete per dividere cucina e cucinotto. L'impianto idraulico l'ha fatto Nello, "Pompeo", più avanti, lo stesso Pompeo, ci avrebbe fatto anche un nuovo pozzo, un pozzo artesiano, perché il pozzo a camicia che avevamo sotto al portico, era frequentato da toponi e lumaconi, senza considerare le inevitabili infiltrazioni di liquami vari provenienti dalla stalla attigua.
Stalla Galline francesine
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Più avanti, Guasti, con una modifica alle valvole, l'inserimento di un bottone bianco e l'aggiunta di qualche asta all'antenna sul tetto, addirittura potevamo vedere un secondo canale, "al second". Claudio, penso durante una vacanza, in seconda o terza media, si è rifiutato di tornare in seminario ed ha smesso di studiare. Deanna, ha fatto il primo anno delle "magistrali" poi ha smesso anche lei. Guido, aveva già smesso ed aiutava il babbo nei campi. Quanto era forte Guido! Portava dei sacchi da 100 kg. di frumento su, nel granaio, salendo per le scale! Claudio, è andato a lavorare da apprendista da Franco ed “Manghi” (non ho mai capito perché Manghi se il suo cognome è Montagna), che faceva il meccanico tutto fare, aggiustava automobili, macchine agricole, camion, biciclette, faceva il saldature, chiunque avesse avuto bisogno, sarebbe andato da lui, era l’unico, un’istituzione. Claudio stava imparando, guadagnava ben 500£. al mese, ma durò poco tempo, Deanna, andò a fare la sarta nella villa di Filippini, dalla Carla Lazzaretti. Si diceva che ci fosse un sotto passaggio segreto tra la mia casa e la villa di Filippini, erano le più vecchie e storiche case della zona. Forse il passaggio partiva dal “pos di mil tai”, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di controllare. C’era un pozzo, coperto da un coperchio in cemento, in quello che era diventato il garage, in cui si diceva ci fossero sul fondo delle lame e che lì, i frati ci buttassero le ragazze. Deanna faceva la sarta apprendista assieme alla Silvana “ ed Cosàn” e la Gabriella, la madre della Silvana era sorella della Gilla.
Forse un televisore Telefunken
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La Gabriella era la figlia della bidella della scuola di S.Andrea, sorella di Fabrizio, che era stato quasi “adottato dalla Nora”, la storica maestra, vecchia, cattiva, dalla pelle scura e grinzosa, temuta per gli enormi anelli alle dita che si diceva usasse per dare dei “sarucchi“ agli alunni monelli. Davanti alla scuola, c'era un negozio di alimentari delle sorelle Saracca, loro vivevano li dietro in una cucina e al suono dell'apertura della porta, si affacciavano e servivano i clienti. Io alle elementari, mi servivo li per comprare quaderni, panini e caramelle, loro marcavano e il papà poi passava a pagare. Penso d'aver comprato un pò troppe caramelle e il conto si era fatto alto, ricordo d'aver avuto un senso di colpa per questo, anche se nessuno mi ha mai rimproverato o detto niente, ma io mi sentivo veramente in colpa. Accanto al negozio c'era un forno, anzi, "la fornera", Laura Cadoppi, unica donna che a quei tempi viaggiava in Vespa, ci portava il pane a casa, le donne normalmente, venivano trasportate dietro alla vespa, sedute su un fianco, non stava bene cavalcarla. Il figlio Luciano era amico di Calderini e coetaneo della Deanna, la pippa, si, la chiamavo così. Luciano Cadoppi e Calderini, sono diventati l'orgoglio di tutta S.Andrea, rispettivamente diventando prima tromba alla scala di Milano e pilota d'aerei di linea. Calderini, mi sembra di ricordare abitasse in quella casetta che si trova tra "l'incros" e "Spager", la trattoria di S.Andrea, dove poi è andata ad abitare la "petnadora", madre di Erri Grisenti, mio amico. Luciano aveva una macchia rossa in faccia, una "voglia di vino", in prima elementare, stando in classe, lo sentivo esercitarsi con la tromba . A quei tempi, gli angiomi, si diceva fossero voglie non soddisfatte delle madri durante la gravidanza. Non so come, faccia a ricordarlo e non importa nulla, ma ricordo che da Filippini, abitava una donna che veniva da Roma, deve essere venuta a casa nostra un tardo pomeriggio per farsi fare una puntura dalla mamma, deve essere stato il periodo in cui le faceva anche Paolo per i reumatismi, aveva la faccia e il naso sul rotondo. Romana ... nel mio immaginario, non la vedevo come una di noi, ma come una donna proveniente da un posto, con soldati, tuniche e gladiatori, insomma, l'antica Roma e la sua strana fisionomia tondeggiante mi sembrava fosse quella razza dei Romani. Mia sorella Deanna organizzava nella nostra saletta, delle festine, invitava amici ed amiche, ballavano e sentivano musica col giradischi, stavano seduti sulle sedie messe attorno, addossate alle pareti.
Come le donne montavano in Vespa Io con il triciclo e Paolo con i gattini a quei tenpi
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Le ragazze dalle gonne larghe e arricciate, sembravano più interessate a me cucciolo, che ai ragazzi. La Renata, miglior amica della Deanna, già dai tempi di S.Martino e Luciano, si sono conosciuti proprio in una di queste festine, poi fidanzati e sposati, oggi hanno figli e nipoti e abitano a Milano. Alla Deanna invece piaceva Terio ed "Gasa", poi Gianni ed "Gasa". Ogni tanto, in casa si sentiva parlare di Adriano Mantelli, parente leggendario, eroe di guerra, aviatore della prima guerra mondiale, inventore degli alianti, probabilmente primo cugino della mamma, fratello di Maria Vittoria, "Mavi". Famiglia strana quella della Mavi, hanno costruito da soli, senza essere muratori, il condominio "Mantelli " ancora esistente in via Trento, il palazzo dove ora, ha l'ambulatorio il mio medico di famiglia. Suo marito un bel giorno è andato a prendere le sigarette e non si è mai più rivisto, deve essere scappato in Liguria con l’amante, una delle sue figlie, quella "artista" e fotomodella, una volta, per rabbia, avrebbe rovinato la macchina della madre buttandoci sopra un vaso di fiori… "fa niente, sono ragazzi" diceva la Mavi. A S.Andrea, da piccolo, trascorrevo le giornate tra le sottane di mia madre, quelle della Deanna e delle vicine di casa, ero spesso a casa della Bruna, della Renata, della Gilla, della Rosa e l'Angiolina e della Pina ed Calsèt. Riguardo la Deanna, più che sottane, ricordo le tasche del suo grembiule, un grembiule, color blu, giallo e rosso delle tasche lunghe, tutte attorno, io le stavo in spalla, con i piedini dentro. Più avanti Deanna aveva smesso di fare l'apprendista sarta e cuciva in camera sua, là, "di sopra", a cottimo, per una ditta di Parma, la FER-SAN-GIO. (Ferretti Santina e Giovanni)
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Le portavano o forse andavamo a prendere delle pezze di stoffa tagliate e lei ne faceva uscire giacconi, pantaloni o camicie finite a regola d'arte. Ogni pezzo di stoffa aveva cucito con il cotone da imbastire, un piccolo cartoncino panna con dei numeri, io facevo la raccolta di quei cartellini, giocavo con delle figure ritagliate dai giornali di moda e un orsacchiotto di plastica vuoto, che era un contenitore di borotalco "bugicai", il suo letto era una scatola da scarpe. Ho imparato ad andare in bicicletta piuttosto tardi, a circa 5 anni, le strade non erano asfaltate e tra una caduta e l'altra, numerose disinfettate sulle ferite alle ginocchia e ai gomiti, i miei fratelli sono riusciti a farmi imparare. Allora, per disinfettare si usva l'alcool e bruciava moltissimo. La bicicletta non so di chi fosse stata, ce n'erano tante, di tutte le misure e con i pezzi di tre bici rotte, se ne ricavava una buona. Penso, in seguito di averne addirittura avuta una nuova tutta mia, come regalo per la Cresima, azzurra. Che bei regali! La bici, un pallone di vero cuoio numero 5 regalatomi dallo zio dottore, due racchette da ing pong con la rete e palline regalatami dallo zio Gianni.
Kit ping pong Pallone n° 5
In campagna giocavamo a nascondino tra fieno, pilastri cassette e rimesse, a golf, con una scatola di latta e un bastone, a palla in tutti i modi, a baseboll, con un bastone a mo di mazza, a “sinalcoli” in mezzo alle piste di sabbia e a fare i costruttori. Costruivamo una casetta con le cassette vuote dei pomodori. Quando Ambrosini padre, portava queste cassette con il camion, per noi bambini era una grande festa, le impilavamo costruendo pareti, stanze e mobili, ci mangiavamo e ci dormivamo fin dentro, nei pomeriggi caldi estivi. Tra un gioco e l’altro, si andava a portare “al bevar” nei campi, per dissetare chi lavorava e sudava quattro camicie sotto al sole, acqua, lambrusco e vin cotto. Non voleva mai andarci nessuno, ma poi a turno, si giungeva ad un accordo, altrimenti ci andava la mamma.
Tappo a corona Sinalcolo originale di 40 anni fa
Il sinalcolo si ricavava da questo tipo di tappo a sinistra, (ne scopro solo ora la derivazione, "senza alcol"), ci si metteva dentro una figura di un ciclista, un calciatore, un personaggio di un fumetto e si chiudeva con un pezzetto di vetro sagomato sfregandolo su un sasso e fermato con stucco da vetro ai bordi. Si faceva andare con delle "pinghelle", colpi dati con indice e pollice della mano vedendo chi li faceva andare più lontano.
Chiesa di campagna
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Era il letto del figlio, lo avrebbe dovuto bruciare per scaldarsi, in questo modo non si era distrutto nulla e nessun ricordo a cui si era legati. La mamma aveva ogni tipo di animale d'allevamento per il fabbisogno famigliare, eravamo 7 bocche da sfamare. Galline, per il brodo e le uova, anitre, faraone, tacchini, polli di tutti i pesi, conigli, oche e il maiale.
Galline che razzolano Gallo Pulcini Pollo
Tacchini maschio che fa la ruota Tacchina Oche
Anatre Pulcini di anatre Faraone
Coniglio Coniglietto Maiale
Di polli al limone, ne mangiavamo due al giorno, le cosce a Paolo, Claudio e Deanna, a me e Guido, il petto, con la maionese fatta in casa da Deanna, a mia madre, non so, e a mio padre il ”rinon”, praticamente la schiena. Lui faceva finta di lamentarsi, ma oggi ho scoperto che è la parte migliore. Le oche le avevano anche a S. Martino, la le tenevano inchiodate su delle assi, per non farle muovere ed avere un bel fegato grasso, il famoso "fegato d'oca", a S.Andrea, invece venivano allevate per la carne e il piumino. Con il piumino d’oca, si facevano delle belle e calde trapunte o i “piumini”, oggi non si sa più cosa siano, ma allora, con le camere fredde era sacrosanto. Le oche, la mamma le spennava vive, che crudeltà, ne avevamo una decina, ma un giorno sono uscite dal serraglio e si sono fatte una grossa scorpacciata di foglie d’oleandro, sono morte tutte, le foglie d'oleandro sono velenose se ingerite. Anche il padre di Ileano, aveva le oche, le lasciava libere nel cortile, ma spesso andavano in strada, passare davanti a casa loro in bicicletta era un grosso problema, ti rincorrevano come fossero cani, allora si prendeva la respinta e velocissimi, stando attenti a non farsi beccare, si passava davanti a casa di Noren.
Oleandro
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Allora: Norèn, marito della sorella di Gorèn, Rosèn e Brunèn, il loro padre Giovanèn, il cane Valì, mezzadro di Dante, Giovanèn, di seguito evoluti ad affittuari di Arturo e Arnaldo, oggi un figlio di Gorèn, Andrea, mio amico, è proprietario di un grosso podere nella Pavesa e coltiva altri poderi in affitto, ora l'agricoltura è cambiata, pochi latifondi al posto di tanti piccoli appezzamenti. Loro allevavano le mucche di razza Bruno alpina, mentre nelle altre stalle si allevavano normalmente si allevavano le Olandesi. Ricordo che nella loro aia, giocavamo al pallone, una volta addirittura a Rugby. In luglio, e in settembre, non si poteva, perchè mettevano il frumento e il gran turco ad essiccare, lo si girava con delle pale in legno e si cercava di tener lontani i piccioni. Tutto questo accadeva uscendo a sinistra di casa mia, verso l'argine del Parma, andando a destra, invece, dopo le porcilaie, davanti ci passava un fosso pieno di liquami puzzolenti, abitava la, Gilla, la Pina, la Netta e la Rosa. La Rosa, era l'unica donna agricoltore, il suo podere era coltivato da lei, dai suoi vecchi genitori, Guido e Angiolina, fino a che sono stati al mondo, poi da Giovanèn, un bracciante agricolo di Colorno e dalle figlie, che dovevano obbedire a stecchetto. Suo marito, Enzo, faceva il camionista e preferiva disinteressarsi dei campi, ogni tanto portava qualche animale inconsueto, un un asino, un cavallo .... La Celestina, la più grande delle sue figlie, ha sposato Guido, mio fratello, Guido, ce n'era un'altro nel caseggiato, ma forse faccio confusione, da piccola ha fatto la sesta elementare, allora si usava, l’ha fatta anche la Cristina, sua cugina, quando uno era piccolo o non sufficientemente pronto, ad affrontare le scuole del paese, gli si faceva fare la sesta per tenerli ancora un po’ lì. La Rosa, penso una delle donne più buone e semplici che abbia mai conosciuto, per merito suo, ho visto cose che già allora erano ormai superate dalla tecnologia.
Bruno alpina Olandese
Piccioncini sui tetti Piccioni adulti Pulcini grandi di piccioni
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Quando gli altri avevano già il trattore, lei usava ancora i buoi con il giogo, per tirare i carri, quando gli altri usavano la lavatrice, lei lavava ancora i panni a mano, usava il "lavasol " con "l'alsìa" come detersivo e la "gramla", non so se l'usasse ancora abitualmente, ma ricordo d'averla vista usare nel sottoscala. L'alsìa era un detersivo basico, ottenuto dalla cenere, era un ottimo sbiancante per le lenzuola di lino, la gramla era un marchingegno in legno che servendosi di piani e leve, veniva utilizzato per impastare grosse quantità di pasta per fare il pane. In quel gruppo di case, si diceva che la Netta fosse molto curiosa, ecco, forse l'altro Guido che ricordo era suo padre, o forse un fratello strano, al minimo rumore o all'arrivo di qualcuno, lei stranamente si precipitava fuori, usciva di casa per far finta di fare le proprie cose, stendere panni, andare nell'orto, scopare il cortile e invece, curiosava semplicemente. Con Paten, suo marito, si diceva che una volta siano andati da Martàn, a Colorno per comprare un vestito, dovevano andare ad un matrimonio, hanno chiesto il più caro del negozio, non il più bello. Netta diceva: ”il taliano, parlarlo bene o parlarlo gnanco” e noi se ne rideva.
Buoi Giogo
Lavatoio Gramola
Non devo assolutamente scordarmi di quel maledetto cane dei Gazza, si un piccolo bastardino nero, a tre gambe, una l’aveva persa sotto le lame di una falciatrice. Veniva attraverso i campi a casa nostra, probabilmente per la Lilla in calore e appena mi vedeva, mi abbaiava e mi rincorreva. Faceva questo solo con me, io ero terrorizzato, brutto bastardo, lui lo sapeva! ancora oggi, per colpa sua, non sono molto amico dei cani, specie quelli che non conosco. A Claudio è sempre stata stretta S.Andrea, si è stancato presto di lavorare da Franco e allora, con l'aiuto dello zio Gianni, come ho già scritto, si è fatto assumere alla Cromital.
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Ogni mattina, prima con la bici, andava a prendere la corriera, all’incrocio, a S.Siro, dove ora abita mio fratello Paolo, un tempo era l’incrocio “ed Tibert??”, poi con il motorino, un Malaguti 50 stile corsa, andava direttamente a Parma, a lavorare, per tornare alla sera. Una volta non ha dato la precedenza, da Tibert e si è immesso nella strada maestra senza guardare, è stato investito; niente di grave, ma quello è stato il primo incidente di una lunga serie, qualche hanno dopo, non passava sabato sera che con la mitica Mini Minor, con il tetto una volta bianco e una volta nero, non facesse un incidente. Lavorava a cottimo, guadagnava bene e ne spendeva altrettanti, era l'unico in casa con uno stipendio fisso e se lo poteva permettere.
Portico, non poteva mancare Morini Sport Mini Minor
Mia madre dava la sveglia presto la mattina, "Claudiooooooo, Deannaaaaaaaa sveglia chl' è teerdi! " e questo si ripeteva tutte le mattine e più volte, fino a quando finalmente si alzavano da letto. A volte la casa profumava delle cotolette impanate e fritte che la mamma cucinava e metteva nei panini a Claudio per il pranzo, usava la gavetta e la borraccia in alluminio, per portare i cibi al lavoro, strumenti simili a quelli militari. Deanna, sul tavolo in cucina, prima di partire, impegnava ore a truccarsi gli occhi e ad arruffarsi i capelli. Si faceva un’acconciatura simile a quella di Marge, la moglie di Homer Simpson, o meglio, simile a quella di Audrey Hepburn in "colazione da Tiffany", allora, era un'acconciatura all'ultima moda. La sera, d’autunno, spesso, c’era una nebbia impossibile, non si vedeva niente, in macchina occorreva andare a passo d’uomo, ma neanche questo non bastava, occorreva conoscere la strada a memoria. Claudio, sapeva che dopo il cimitero, di S.Andrea, doveva contare tre colonne della luce e poi svoltare a destra; “uno, due, e …” poi sopra pensiero, ha svoltato, era troppo presto ed è andato nel fosso con il motorino.
Marge Hepburn Gavetta
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Nei primi anni che ho abitato a S.Andrea, ho fatto in tempo a vedere e a pigiare l'uva con i piedi, a mietere il frumento a mano, con la falce, utilizzando poi la "machina da batar" per far uscire il grano. Le balle di fieno, venivano legate ancora con il filo di ferro "ed zingol ", teso, arrotolato e tagliato dai bambini. Subito dopo, si è usata la pigiatrice per mostare l'uva, la mietitrebbia per il grano e l’imballatrice automatica che legava le balle nei campi, con le corde e non con il filo di ferro. La mietitrebbia era una macchina enorme, polverosa e super costosa, potevano acquistarla solo i contoterzisti. A fine giugno o i primi giorni del mese di luglio, Avanzini, noto aratore, iniziava ad andare con questa macchina in ogni podere; per farla rendere al massimo, si lavorava giorno e notte, "contando" nel bel tempo, se fosse piovuto, sarebbe stato un mezzo disastro. A mezzogiorno, i trebbiatori pranzavano a turno in casa con noi, erano quasi sempre giovani ragazzi stagionali e simpatici. Io salivo sulla mietitrebbia con loro e ci passavo ore, con il fazzoletto alla bocca, per non respirare la polvere, mentre gli operai guidavano avanti e indietro. Quando la macchina era piena di grano, arrivava un trattore, con un cassone dotato di coclea, il cassone veniva riempito e poi si andava a scaricare il grano nel granaio tramite la coclea e dei tubi di ferro. Il grano si teneva in un posto asciutto, ai piani di sopra. Bisognava stare attenti a non riempire troppo queste stanze, il troppo peso avrebbe potuto far cadere tutto, già le travi in legno si flettevano molto. Non so come mai non sia mai successo, ma il solaio, non è mai caduto, un vero e proprio miracolo.
Campo di grano Covoni di grano Trebbiatrice Vecchia imballatrice
Mieti trebbia Imballatrice